d) STORIA DELLE SCATOLE > Le scatole raccontano..

La latta si veste a festa e racconta come eravamo…

 

La storia lascia sugli oggetti che ci circondano dei segni indelebili; quello che vi proponiamo è un viaggio nel tempo per rivivere attraverso le immagini litografate sulle scatole si latta cento anni di cambiamenti storici, di stili e gusti del nostro paese.
L’ Ottocento stava per finire e l’Italia, finalmente unificata, si  stava lentamente organizzando come Nazione; crescevano gli scambi favoriti dal veloce sviluppo dei mezzi di trasporto e un discreto benessere si andava diffondendo soprattutto nelle fasce più avanzate della borghesia. L’industrializzazione partita dall’ Inghilterra aveva conquistato l’Europa, scendendo  anche da noi, a cominciare dal settentrione.
Le industrie nascenti attiravano sempre più gente dalle campagne, le città si espandevano e la popolazione inurbata cresceva rapidamente.
La certezza di un salario per molti, e il raggiungimento di un discreto benessere della borghesia, favorirono l’aumento dei consumi e crearono nuove tentazioni che colmavano antichi bisogni.
L’ aumento dei consumi interni, il raggiungimento di nuovi mercati grazie allo sviluppo dei mezzi di trasporto, e la partecipazione alle grandi Esposizioni, trasformarono nel giro di pochi anni pasticcerie e cioccolaterie a conduzione familiare in piccole industrie, grazie anche all’impiego dei nuovi macchinari azionati dalla forza motrice del vapore. Le grandi Esposizioni Nazionali ed Internazionali erano il punto d’incontro per scambi di merci, nuove invenzioni e macchinari, qui i migliori prodotti venivano premiati con Medaglie ed Onoreficienze.

A Torino, regno del cioccolato, oltre che dei Savoia, nascevano in quegli anni Ditte che hanno scritto la storia delle scatole di latta italiane. Fra queste: Caffarel Prochet (1826), Michele Talmone (1850), Moriondo e Gariglio (1850), Baratti e Milano (1858), L. Leone (1875), Silvano Venchi (1878) e De Coster (1880).
Nel 1890  Torino contava 205 addetti nel settore dolciario, un censimento effettuato nel 1911 rivelò che erano diventati 1.200.
L’industrializzazione conquistò anche altre città; a Vercelli nel 1858 fu fondata la Luigi Rossa, specializzata nella produzione del “Caffè Rossa”, che veniva distribuito ai negozianti in stupende scatole di latta; la famosa serie degli “Elefanti” di cui, ad oggi, si conoscono oltre trenta esemplari  che spaziano dal liberty al futurismo. 

A Martignacco, in provincia di Udine, nel 1891 nacque la Delser, cui si devono una bellissima serie di scatole storiche, oltre a modelli di auto-giocattolo porta-biscotti.
A Saronno, nel 1888, Davide Lazzaroni, figlio di Carlo, che già aveva avviato la produzione dei famosi amaretti, fondò l’omonima ditta che da subito legò la sua immagine a bellissime scatole di latta acquistate inizialmente sul mercato inglese.
Alla Saiwa (Società Accomandita Industria Wafer Affini), fondata a Genova nel 1900, dobbiamo la più bella e vasta serie di lattoni per la vendita dei biscotti sfusi (detti comunemente “bidoni” per le loro dimensioni).
Ma il centro Italia non era da meno; nel 1890, a Roma, Pietro Gentilini fondava l’omonima ditta, cui dobbiamo una serie di scatole che possono competere tranquillamente con quelle delle aziende del nord.
Accanto a queste grandi ditte, fiorivano in quegli anni una miriade di altre piccole pasticcerie e cioccolaterie a livello locale,  che ci hanno lasciato degli esemplari mirabili di imballi in latta.
Intanto la clientela aumentava e i mercati da raggiungere erano sempre più lontani; dal locale si passò al regionale, poi al nazionale, fino all’estero. Serviva un imballo solido ma allo stesso tempo leggero, che non alterasse i sapori e mantenesse la fragranza del contenuto. Le scatole di latta si rivelarono ben presto l’ideale, avevano in oltre il grande pregio di poter essere personalizzate a piacere con la stampa litografica.
Erano anni in cui quasi tutti i prodotti venivano venduti “sfusi”, biscotti, cacao e caramelle arrivavano nei negozi in capienti scatole vuoto a rendere;  finita la scorta i lattoni vuoti venivano ritirati dai rappresentanti, portati in fabbrica, lavati e di nuovo riempiti per iniziare un nuovo dolce viaggio. Una scatola di latta poteva così durare anche qualche anno e ciò consentiva di ammortizzare gli ingenti costi iniziali.
L’utilizzo della latta in campo alimentare aveva in realtà origini ben più lontane; infatti, già a partire dal XIII secolo la Germania, grazie ai suoi giacimenti di ferro e stagno, aveva sviluppato una fiorente industria per la lavorazione della banda stagnata (così chiamata perché composta da un lamierino di ferro rivestito di stagno da entrambi i lati). Per la sua caratteristica di non alterare i sapori, fu impiegata inizialmente nella produzione di attrezzi da cucina quali pentole, cucchiai e piatti; da lì si passò poi alle scatole. La Germania detenne  il primato nella produzione e nell’esportazione in  Europa fino al 1750, quando gli inglesi decisero di sfruttare le miniere di stagno in Cornovaglia; da allora l’ascesa dell’ Inghilterra fu inarrestabile.  Nel 1885 su 131 fabbriche di latta al mondo, 97 erano in Inghilterra.
Il primo utilizzo su larga scala delle scatole di latta fu in campo militare, per le scorte alimentari di eserciti,  esploratori e marinai.
Fino al ‘700 le battaglie combattute in Europa erano fra eserciti relativamente piccoli, il cui sostentamento era in gran parte dato da razzie nei territori attraversati e conquistati.
Durante la Rivoluzione e poi con Napoleone, gli eserciti erano composti invece da centinaia di migliaia di uomini, e gli alimenti conservati in scatola si rivelarono decisivi nell’andamento di svariate battaglie.
Le tecniche per la conservazione dei cibi in vetro, iniziate dal francese Appert sul finire del ‘700, furono portate avanti con successo dagli inglesi e, nel 1810 De Heine e Peter Durand brevettarono un sistema per la conservazione dei cibi utilizzando come  contenitori le scatole di latta, loro specialità.
L’industria in campo militare si affinò sempre più, arrivando a stupire i nostri genitori e nonni quando videro la famosa “ razione K” in dotazione all’esercito americano; era composta da due scatole: la prima conteneva una minestra, la seconda , meraviglia delle meraviglie, era divisa in sei compartimenti stagni che, partendo dall’alto,  contenevano rispettivamente: carne di maiale, formaggio, prosciutto, torta di cereali, pastiglie polivitaminiche, e per finire qualche foglio di carta igienica!
Quanto ai marinai, i cibi conservati, insieme a biscotti e galloni di succo di limoni, rappresentarono l’ancora di salvezza dallo scorbuto, che tanti di loro aveva decimato nei viaggi transoceanici.
Parlando di marinai torniamo in Italia e più precisamente in Liguria, regione che svolse un ruolo chiave nella nostra storia negli anni a cavallo fra ‘800 ed il ‘900; qui infatti sorsero tutta una serie di “litografie su metallo” specializzate nella produzione di scatole di latta.
In realtà, la lavorazione della banda stagnata si era sviluppata già all’inizio
dell’ Ottocento, complice la vicina acciaieria e gli ingenti scambi commerciali dati dal porto; dai vecchi stagnini che potevano produrre si e no 100 scatole al giorno, si era poi passati alla piccole industrie metallurgiche.
Il polo principale era Sampierdarena (Comune annesso a Genova nel 1926), oltre a  Savona e Oneglia; quest’ultima si specializzò nella produzione di latte per olio.
Sul finire dell’800, la stampa litografica applicata al metallo e il crescente numero di aziende private che utilizzavano scatole di latta litografate come imballi dei loro prodotti, attirò nel settore esperti provenienti dalla stampa su carta e dalla pubblicità, consapevoli delle vaste applicazioni che il nuovo mezzo consentiva, nascevano così  in quegli anni il packaging e le insegne pubblicitarie in latta.
Per molti anni la Liguria detenne il primato per la fabbricazione di scatole in Italia.
Aziende dolciarie come Lazzaroni e Delser, che per anni avevano comprato le scatole nelle grandi esposizioni europee, poterono finalmente acquistarle nel mercato interno.
L’Americana produsse scatole per la De Coster (To), Gatti (To), Marchisio- Wamar (To), Mondino (To), Saiwa (Genova) e Zeda (Intra). Lo Stabilimento Casanova di Genova Sampierdarena  annoverava fra i suoi clienti I.W.A.T. (Industria Wafer Affini Torino), Zaini (Mi), Baratti e Milano (To), Chiarino (No) e Severino Cei (Mi). La Società Anonima De Andreis , fondata a Genova nel 1913, oltre a clienti italiani tipo Bertini e Donati (Na),  Delser (Ud), Lazzaroni (Saronno), Naj (Ge-Mi) e Parenti di Siena, aveva aperto due filiali estere in Spagna e Francia. In quest’ultima, in particolare, oltre alle scatole aveva prodotto anche delle auto giocattolo; nel dopoguerra si fonderà con la Casanova dando vita alla De Andreis & Casanova, a cui devono due scatole Zeda disegnate da Dudovich e Mauzan.
Gli scatolifici avevano generalmente un loro studio grafico interno che proponeva i bozzetti ai clienti. La Società Ligure Lavorazione Latta aveva nel suo staff Guerzoni, che ha firmato i bozzetti per decine di scatole vendute sia in forma anonima, che personalizzate per ditte come Saiwa e Paglierini e, fra gli altri clienti poteva annoverare Lazzaroni, Marchisio , Leone Gioberge, Biscottificio Tergeste e Bertolini e Dufour.
Lo Stabilimento MoroT & figli realizzò alcuni degli esemplari della serie “Elefanti” della Luigi Rossa, mentre si devono alla Ditta Diana R.D. & C. le due bellissime scatole di forma insolita e decori esotici realizzate per la Elah e la De Coster.
Ad Oneglia lo Stabilimento Renzetti, per soddisfare la domanda locale, si specializzò nella produzione di latte per olio, destinate sia al mercato interno che all’esportazione.
Nel 1906 un pericoloso concorrente si affacciò all’orizzonte; a Milano fu fondata la Metalgraf che nel giro di pochi anni divenne leader del mercato, superando le frammentate industrie liguri. Conquistate le ditte storiche come Lazzaroni, Delser, Franck e De Coster, si rivolse poi con successo al mercato del sud, annoverando fra i suoi clienti il Monopolio Tabacchi (per le scatole di sigarette) e aziende dolciarie come: Gentilini e Loreti a Roma, Nunzia a L’Aquila e la Pelino di Sulmona.  Fu aperta anche una filiale a Napoli, denominata Metalgraf Sud.
Negli anni ’20 creò una divisione per la produzione di auto-giocattolo, realizzando per la De Coster un autocarro contenitore per le “pastiglie Minerva” ed una locomotiva.
La moda dei giocattoli come contenitori di biscotti e caramelle veniva dall’ Inghilterra, dove ditte come Huntley & Palmers, Jacob e Crawford avevano in catalogo decine di bellissimi giochi che spaziavano tra carrozze e navi, carri da circo, carrozzine, mulini a vento e orologi a pendolo.
In Italia le auto-giocattolo porta biscotti e caramelle conosciute sono in tutto una quindicina; fra queste il camion Fiat 18 prodotto dalla Cardini di Omega per la Elah ed il Biscottificio Italiano, in cui la scatola di biscotti veniva messa nel vano carico,l’ Alfa Romeo 1500 della Delser realizzata dallo scatolificio Passero di Monfalcone  con tetto a ribalta per inserire le caramelle , la locomotiva  e gli autobus Perugina prodotti dalla Cardini.
C’è poi un giallo ancora irrisolto: su un catalogo dalla Saiwa degli anni ’20 è riportato un camioncino porta-biscotti, ma ancora oggi molti si domandano se esista davvero; chissà, forse è ancora in una soffitta, riposto con altri giochi in un vecchio  baule…
Sempre a Milano la Alemanni, specializzata in auto-giocattolo, realizzò per la Luigi Rossa di Vercelli svariate scatole della serie “elefanti”.
In Sicilia il grosso del mercato era servito da scatolifici locali:  Sevettiere di Palermo per le scatole del Cav. Salvatore Gulì , la Zincograf A. Cioni di  Catania per Caviezel e  Giuseppe Di Paola (Ct) e Tomasino per le scatole della Caflisch di Palermo. Questa regione si caratterizzò per la produzione di un particolare tipo di scatola  tonda e bassa, denominata  “cassata postale”, il nome deriva dal fatto che venivano utilizzate per spedire per posta le torte. Munite di anelli per la chiusura con piombo, potevano viaggiare tranquillamente mantenendo inalterato il gusto del contenuto; nella pubblicità della ditta  Caviezel si leggeva “ Torta Savoja (garantita della durata di un mese)”.
Le scatole litografate venivano prodotte in tre versioni, la più semplice ed economica era quella con un decoro generico (bambini, fiori, paesaggi, quadri famosi) non personalizzata (volendo si poteva applicare all’interno un’etichetta in carta); la seconda versione prevedeva la personalizzazione litografica nella parte interna del coperchio; in entrambi i casi lo stesso modello di scatola poteva essere venduto a clienti diversi.
Le scatole più pregiate e costose erano quelle per cui era stato creato un bozzetto ad hoc con il nome della ditta in primo piano.
Erano gli anni in cui la pubblicità muoveva i primi passi; l’ 11 febbraio 1887 la Giunta Comunale di Torino aveva deliberato l’istallazione di cartelloni pubblicitari. Manifesti nelle strade e scatole e targhe in latta nei negozi, erano i mezzi pubblicitari del tempo; nel manifesto mode e stili si riflettevano in tempo reale, sulle scatole di latta i cambiamenti erano più lenti. Una volta definito il decoro, la scatola, con il sistema del “vuoto a rendere”,  poteva durare anche qualche anno.
In casi eccezionali può anche accadere che un disegno del 1890 superi indenne i cento anni, arrivando fino ai giorni nostri; è il caso dei “Due Vecchi” della Talmone, realizzato dal tedesco Ochsner, che apparve sulle prime scatole della Michele Talmone all’inizio del ‘900, continuò nel 1924 quando la società fu assorbita dalla Unica, ed ancora nel 1934 quando si trasformò  Venchi Unica. Alla veneranda età di 115 anni i due vecchi entrano ancora nelle case degli italiani, questa volta con il marchio Nuova Venchi Unica.   

Dispensatrici di dolcezza un tempo, adesso le scatole ci raccontano il mondo in cui vivevano.
C’erano  Re e Regine che concedevano Brevetti di Fornitori Ufficiali  e Cavalieri del Lavoro che mostravano con orgoglio i loro Stabilimenti.
Romantiche bambine vestite in pizzo ed altre con grandi fiocchi nei capelli che dividevano a malincuore le caramelle con i fratelli, mentre eleganti mamme offrivano spumante e pasticcini agli ospiti. In vacanza si andava alle Terme, salotto della borghesia agiata e qualche volta al mare con castissimi costumi in lana pesante.
Quella che appare è una società benestante; in realtà di povertà era ancora diffusa,  ma l’ascesa della borghesia era inarrestabile. A lei si rivolgevano i produttori di cioccolato, biscotti e caramelle, alimenti considerati al limite del  voluttuario  che venivano quindi reclamizzati esaltandone le caratteristiche “digestive e supernutritive”.
Il Cav. Silvano Venchi  è la personificazione di un imprenditore di successo di fine Ottocento, nelle sue scatole ritroviamo molti dei motivi dominanti che caratterizzavano la comunicazione pubblicitaria di inizio ‘900.
Aveva iniziato la sua attività a Torino in Via degli Artisti nel 1878, era fiero della sua ditta e quando si trattò di scegliere una scatola che lo rappresentasse degnamente anche all’estero non badò a spese.
Ordinò alla Metalgraf di Milano una bella e solida scatola con gli angoli smussati, che con le sue immagini doveva raccontare la storia della ditta e delle sue specialità.
Sul coperchio, come garante della bontà, c’era proprio lui, il “Cav. Silvano Venchi Fondatore della Casa”, elegante, con baffi a manubrio ed espressione fiera.
Sui lati, in quattro lingue, la scritta: “Primo Stabilimento Italiano per la fabbricazione di confetti e cioccolato – S. Venchi & C. Società anonima Italiana Torino, Capitale Statutario L. 3.000.000 – Esportazione Mondiale”.
La scatola, che poteva contenere confetti, cioccolato o caramelle sfuse, era generalmente appoggiata, complice la sua bellezza, in bella vista sul bancone del negozio; quando  la si apriva per affondare il cucchiaio nel dolce contenuto appariva,  incorniciata da motivi liberty, la bella immagine dello Stabilimento.
Il Cav. Silvano Venchi ne era orgogliosissimo: trent’ anni di onorato lavoro si concretizzavano in quel laboratorio, che occupava una superficie di 3.000mq  e dava lavoro ad alcune centinaia di persone, rappresentando il miglior esempio di industrializzazione nel settore dolciario.
Aveva partecipato alle più importanti Esposizioni in Europa ed America ottenendo sempre ampi riconoscimenti, le famose “Medaglie delle Esposizioni”; erano diventate talmente tante che le aveva raccolte in un quadro detto “Medagliere”, riprodotto poi anche sulle scatole di latta.

Ma la pubblicità fin da subito andò a caccia di “testimonial” di prestigio, i più ambiti erano senza dubbio i Regnanti di Casa Savoia, che concedevano i  “Brevetti di Fornitore Ufficiale, speciale e pubblico contrassegno con concessione di innalzare lo Stemma Reale sull’insegna della fabbrica”, e da li su tutta quella che era la comunicazione dell’epoca, dalla carta intestata alle cartoline,  alle campagne stampa, fino alle scatole di latta.
Molte erano le ditte che erano riuscite ad ottenerli, fra queste la Lazzaroni di Saronno, la Gatti di Torino, la Zeda di Intra,  la Francesco Cremona di Canelli,  e per finire la Saiwa di Genova; quest’ultima ne mostrava con orgoglio addirittura due: accanto allo  Stemma della Real Casa c’era quello di Gabriele d’Annunzio, Principe di Montenevoso. Scopriamo così una delle armi segrete di conquista del Vate: prendere le gentildonne per la gola, con fragranti biscottini e altre dolcezze.
Lo Stato Pontificio non era da meno; il Cav. Alfonso d’Emilio era fornitore di Papa  Pio X (regnante dal 1903 al 1914), e la Zeda di Intra di Pio XI (1922-1939).
La Delser fornitrice dei “Sacri Palazzi” realizzò nel 1929 una scatola commemorativa dei Patti Lateranensi in cui comparivano PioXI, Vittorio Emanuele III, Benito Mussolini ed il Cardinale Gasparri.
Accanto ai grossi lattoni per la vendita dello sfuso cominciarono ben presto ad essere prodotte anche delle scatole più piccole per uso privato. Drogherie e pasticcerie a livello locale realizzarono bellissime scatole con immagini di  botteghe o vedute di città. Scatole regalo per occasioni importanti, o come ricordo di una vacanza in una località termale, una città d’arte o un pellegrinaggio in città come Roma o Padova.
La Gentilini in particolare realizzò una vasta serie di scatole ricordo con le vedute di Roma.
Gli anni fra il 1900 ed il 1918 si contraddistinsero per un rapido sviluppo nel settore dolciario cui seguì un periodo di crisi che durò fino al 1923. Nel 1924 in Piemonte si assistette al primo esempio di concentrazione industriale: sei aziende che languivano furono riunite sotto uno stesso marchio e nasceva la Unica; in lei confluirono la Michele Talmone la Moriondo e Gariglio, la Bonatti, la Idea, la Fabbriche Riunite Galatine e Biscuit e la Dora.
In pochi anni la Unica divenne una delle più importanti aziende dolciarie europee, con una fitta rete commerciale e una catena di negozi monomarca.
La ripresa generale del mercato rimise in viaggio anche le scatole di latta.
Era il tempo dei grandi cartellonisti, l’epoca d’oro del manifesto in cui valenti artisti collaboravano con le industrie.
Nel settore dolciario, la Venchi nel 1923 si fece disegnare da Leonetto Cappiello  un Arlecchino che rimase per molti anni il simbolo distintivo della ditta riportato sia sulle scatole di latta che sulla carta intestata. Sempre Cappiello disegnò per la Wamar un bellissimo unicorno, mentre Marcello Dudovich collaborò con la Unica e con la Zeda  realizzando un “lattone”. Golia (Eugenio Colmo) illustrò una scatola per la M.A. Gatti di Torino e una campagna stampa per la Venchi.
Gino Boccasile lavorò per Crastan,  Ivlas, Caffè Haiti ed Olio Radino.
Accanto alla fantasia dei grandi illustratori anche la politica e la storia conquistavano il loro spazio .
La De Coster di Torino, in omaggio alla regnante Casa Savoia, aveva in catalogo due scatole; la prima riproduceva il Carosello Storico che si svolse a Torino nel 1928 in occasione del IV Centenario di Emanuele Filiberto e X° Anniversario della Vittoria, la seconda le nozze di S.A.R. Umberto di Savoia e S.A.R. Maria Josè del Belgio, celebrate a Roma l’8 gennaio 1930; erano state nozze di corte e di regime, con  Mussolini in alta uniforme accanto al Re, legame ripreso nella datazione della scatola MCMXXX – VIII.
A Martignacco, in provincia di Udine, la Delser propose ai suoi clienti una serie di scatole con l’effige di Vittorio Emanuele III  e la Regina Elena di Montenegro, e un’altra con vedute di Roma  e Milano incorniciate tra fasci littori.
La storia si rifletteva non solo sulle scatole, ma anche sul loro contenuto; il catalogo Delser proponeva in quegli anni biscotti che si chiamavano “Vittorio, Elena, Italia e Montenegro” e la De Coster presentò la caramella “Fascio”.
Intanto la guerra si avvicinava, la Campagna in Africa Orientale fornì nuovi spunti nei decori delle scatole. La Saiwa (Società Anonima Industria Wafer Affini) di Genova realizzò una bellissima scatola con due Ascari in moto, ma dovette sottostare alle leggi che vietavano l’uso di nomi stranieri e cambio così il suo nome Saiva (Società Anonima Biscotti Saiva). Nel frattempo la Unica di Torino presentava la caramella “Negus”, la Gentilini di Roma i biscotti “Tripolini” e la S. Giacomo di Genova le caramelle “Faccetta nera”.
Erano anni di forte disoccupazione e contrazione dei consumi, molte aziende dolciarie chiudevano per gli elevati costi di produzione e la carenza di materie prime causata dalle leggi autarchiche, altre sopravvivevano ricorrendo all’uso di succedanei.
L’industria bellica monopolizzava l’uso dei metalli e anche le scatole di latta si impoverirono, abbandonata la stampa litografica venivano personalizzate con etichette in carta, erano povere ma indispensabili e le varie ditte se le contendevano a man bassa, accade così di trovarne con tre o quattro strati di etichette di aziende diverse.
Il colpo di grazia arriva negli anni della II Guerra Mondiale, quando i prodotti dolciari vengono messi al bando essendo considerati generi voluttuari e non semplici alimenti.
Con la fine della Guerra le Aziende riprendono la produzione, per qualche anno continua l’utilizzo delle scatole di latta, finché non andarono in disuso con l’introduzione di quelle in cartone.
Il nuovo imballo è leggero, economico e non pone problemi di immagazzinamento. Una volta vuoto si butta,  e i rappresentanti non devono più viaggiare avanti e indietro con lattoni pieni e vuoti.
Le scatole di latta per biscotti, cacao e caramelle scompaiono così lentamente dai negozi,  salvo tornarci per occasioni speciali o in riedizioni di quelle prime scatole con cui avevano cominciato il loro dolce viaggio.